Il Re Enrico Chiappe di Ferro, regnò in Inghilterra a cavallo del XII e del XIII secolo. Durante il suo regno il paese fu devastato a diverse riprese da pestilenze e carestie. E quando non c’erano le malattie, c’era qualche guerra per dei motivi che nessuno capiva davvero, né l’aristocrazia né tanto meno il popolo e spesso, nonostante il contegno da difensore della patria che gli toccava mantenere, nemmeno lo stesso Re.
Enrico, che voleva sempre restare a fianco ai suoi sudditi e che all’epoca infatti era chiamato “Il caritatevole”, cavalcava tutto il giorno da un lato all’altro del suo regno per portare soccorso con generi di prima necessità e parole di conforto ai cittadini delle sue contee. Rinunciando volontariamente alla scorta e accompagnato solo da un valletto la gente lo accoglieva stupita di vedere il monarca sbarcare nelle loro case e restava sbalordita dal comportamento di Enrico che si fermava a consolare e discutere con tutti dai campagnoli fino ai preti e ai ragazzini, anche perché le poche volte in cui un reale si era fatto vivo nelle campagne era per qualche battuta di caccia, per far tagliare le teste e per reclamare qualche assurdo diritto e imposta su uomini, donne e averi. Senza paura di ammalarsi lui stesso, convinto che più della sua maestà d’altronde inutile per le malattie del corpo, e più della corazza in battaglia, sarebbe stato il suo spirito e le sue convinzioni a proteggerlo, Enrico Il caritatevole non esitava a occuparsi dei lebbrosi come degli appestati. E per ragioni che nelle leggende hanno a che fare con il miracolo e la beatitudine, ma che la scienza spiegherebbe con una bizzarria genetica e con il privilegio riservato ai nobili del tempo di aver sempre avuto di che nutrirsi e della possibilità di un minimo di igiene personale, non si ammalò mai, al contrario dei suoi sventurati valletti che non duravano più di una settimana. Si racconta, infatti, che in ogni cimitero della penisola britannica ci sia sepolto almeno un valletto di Re Enrico detto Il caritatevole e alcuni affermano che il modo di dire “Andarsene in giro con il Re” venga dallo sfortunato destino dei valletti reali e non vuol dire avere fortuna e onori, ma più prosaicamente non aspettarsi molto dal futuro.
Nonostante gli sforzi di Re Enrico che inoltre aveva spedito a ogni angolo dell’Europa i suoi ambasciatori per cercare soluzioni dai più grandi scienziati esistenti, la pestilenza del 1321 non voleva saperne di scomparire e non sembrava esserci una soluzione. Gli sforzi del Re non sembravano essere sufficienti e ormai non gli restavano più valletti di corte e nessuno che si presentasse per rimpiazzare quelli seppelliti tra Edimburgo e Dover. Così, deciso a prendere tra le mani il destino del suo regno, in una cerimonia privata presieduta dal Vescovo di Canterville e in presenza di tutti i nobili della corona, fece il fioretto di cavalcare da solo senza mai fermarsi, se non per cambiare cavallo, almeno per 2000 miglia e poi continuare finché la pandemia non fosse finita. E il tutto senza usare una sella e a chiappe nude. I resoconti dell’epoca affermano che Re Enrico detto Il caritatevole tra il 1321 e il 1322 cavalcò 7457 miglia, più della distanza tra Manchester e Bangkok, prima che il suo voto fosse soddisfatto. Quando si fermò, Enrico detto Chiappe di Ferro era il nome con cui il popolo lo conosceva e fu ricordato nei racconti dei cantastorie che ne narrano le vicende in tutta l’isola e poi in Europa lodandone il coraggio e il suo coriaceo didietro.
Pare che Enrico a dispetto della sua benevolenza verso i suoi sudditi, in fin dei conti preferisse l’appellativo de “Il caritatevole”, ma sapeva che la storia e il popolo, per quel gusto proprio che gli fa amare il dileggio del potere, nonostante la bontà del regnante di turno, non lo avrebbero ascoltato e sarebbe rimasto per sempre “Chiappe di Ferro”. Ed è questo l’unico cruccio che ebbe il Re, oltre all’impossibilità di trovare un trono abbastanza confortevole per le sue chiappe irrimediabilmente malmesse, durante il resto del suo regno che trascorse serenamente in pace e senza mai più montare a cavallo.
Re Enrico Chiappe di Ferro è annoverato tra i giusti della storia della corona britannica e portato come esempio di generosità e perseveranza.
Ma la leggenda di Chiappe di Ferro non è solo conosciuta tra le imprese delle cavalcate memorabili, ma ricordata anche nelle note a margine dei manuali di dermatologia e allergologia cavallina. Tra i tanti meriti, uno dei suoi lasciti è stato quello di aver reso note le funzioni lenitive di certi fiori per altro insignificanti in quanto pregio della forma e del profumo che crescono nelle campagne più isolate dell’Inghilterra e dal cui estratto oggi se ne fanno pomate e unguenti lenitivi per le irritazioni più fastidiose. In molti infatti testimoniarono di averlo visto in verità smontare spesso dalla cavalcatura durante la sua maratona, l’equino legato a un albero, e il Re accovacciato mentre sfregava il suo regale deretano su queste piante. Nonostante non fosse esente da morsi di insetti di tutti i tipi, niente erano in confronto alle ulcere e al prurito del suo sedere dopo le lunghe cavalcate in nome della corona e per la salvezza del regno.
Tra i ranghi della cavalleria prussiana era considerato un rito di passaggio attraversare la Polonia fino a sconfinare nel freddo impero dello Zar, cavalcando a pelo di cavallo e chiappe scoperte e sfidando i tiratori fedeli al regime zarista mostrandogli impudentemente il culo nudo. Dire che qualcuno ha il coraggio del Re inglese o semplicemente cavalcare all’inglese, significa avere una tempra forte, temeraria e più semplicemente chiappe buone contro ogni avversità.
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